INAUGURATO L'ANNO GIUDIZIARIO 1999
LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN CALABRIA
Relazione del Procuratore Generale presso la Corte
di Appello
di Catanzaro,
dott. Luigi Montoro
PREMESSA
Potrebbe apparire addirittura banale dire che nell'ultimo anno non
è
cambiato gran che nell'amministrazione della giustizia in questo
distretto,
come del resto è stato detto anche nella relazione inaugurale
dei
1998.
Fondata essenzialmente sulla dimensione quantitativa sarebbe, senza
dubbio, una relazione banale e ripetitiva, di cui si potrebbe
tranquillamente
fare a meno.
Ma se da questo scanno si tenta - senza presunzione e iattanza, in
virtù di una lunga esperienza professionale - un'interpretazione
degli avvenimenti giudiziari dell' anno appena decorso, il discorso
può
essere utile ai fini della conoscenza e della valutazione fenomenica di
quanto è accaduto.
E, ancora, se i fatti e i bisogni speculari dei distretto vengono posti
anche in relazione alle vicende legislative o para legislative e alle
questioni
che hanno agitato l'amministrazione della giustizia nel paese, è
possibile contribuire - sia pure da un punto di vista soggettivo - alla
comprensione dei tempi in cui operatori e utenti del servizio giustizia
sono costretti a vivere e alla previsione degli ulteriori sviluppi.
E' vero che all'esordio catanzarese di chi vi parla si
stigmatizzò
gli indebiti esercizi di politica legislativa o quant'altro dei genere,
ma in questa sede non è improprio fare osservazioni - nei limiti
indicati - sugli effetti che possono determinare riforme e innovazioni
o sull' inarrestabile evoluzione dei tempi anche in tema di giustizia;
il tutto - è appena il caso di dire - con umiltà
intellettuale
e con purezza d'intenti.
GIUSTIZIA PENALE
Il fenomeno della criminalità organizzata, ovviamente,
rappresenta
l'aspetto principale della parte penale di questa disamina.
Alla stregua degli atti della Direzione Distrettuale Antimafia, la
componente costante dei fenomeno appare essere la diffusione dell'
associazionismo
criminale in tutto il territorio dei distretto, nonché l'estrema
facilità di reclutamento di nuove leve, anche in considerazione
dei vantaggi connessi all'adesione a sodalizi criminosi.
Piaghe duramente colpite da processi conclusi con risultati positivi,
sono nuovamente interessate da reati dello stesso tipo ad opera o di
soggetti
che hanno finito di scontare la pena o di nuovi adepti che hanno preso
prontamente il posto degli assenti.
Ciò riguarda soprattutto le attività estorsive in
espansione
in tutto il territorio e il traffico di sostanze stupefacenti e di
armi,
attività tecnicamente proprie della criminalità
organizzata.
Appaiono intensi i collegamenti con organizzazioni criminali di altre
regioni e, addirittura, di altri stati; anzi calabresi dei distretto
risultano
partecipare, spesso in posizione di supremazia, ad associazioni
criminali
dell'Italia Centrale e Settentrionale; non solo: si prestano nella
commissione
dì fatti di sangue, per così dire, in trasferta, secondo
metodiche anche illustrate letterariamente, rendendo così molto
difficoltoso individuare i responsabili, salvo segnalazioni da parte di
collaboranti; segnalazioni, in verità, sempre più rare,
perché
la "ndrangheta" deve avere studiato efficaci antidoti a quel poco di
pentitismo,
che la prevalente natura bruzia della popolazione dei distretto ha
fatto
vivere stentatamente.
Altrettanto significativa risulta, poi, l'attenzione dei segmenti
più
avvertiti di siffatta organizzazione verso le attività
economiche
e industriali, specie nel settore delle estorsioni ad imprese che si
accingono
alla costruzione o all'ampliamento di tratti autostradali nella
regione.
Oltre alla modernizzazione degli apparati e delle tecniche,
preoccupano,
altresì, gli apparentamenti rituali della "ndrangheta" ad altre
organizzazioni, quali la "camorra" e la "sacra corona unita", che
rendono
manifesta la raggiunta sprovincializzazione della criminalità
calabrese,
con conseguenze micidiali in materia di approvvigionamento di armi e di
altri strumenti o di ampiezza di risorse.
Per altro verso a questo fenomeno si accompagnano segnali di una
tendenza
alla centralizzazione delle famiglie 'ndranghetistiche, che da
strutture
strettamente familiari e localistiche assumono sempre di più
caratteri
di cellule interdipendenti collegate ai vertici da canali
sovraordinati.
Ulteriore conseguenza dell'estensione ultraregionale della ‘ndrangheta
è la difficoltà di individuare e localizzare i patrimoni
delle grandi famiglie criminali: un tempo esclusivamente rappresentati
da terreni e fabbricati variamente dissimulati, oggi in gran parte
trasferiti
in altre regioni mercé riciclaggio ovvero, addirittura,
all'estero,
fenomeno di cui esistono tracce consistenti.
Infine l'inserimento in nuovi fronti da sfruttare delinquenzialmente
- quali il trasporto, lo smaltimento dei rifiuti urbani e tossici e la
realizzazione delle apposite discariche - unitamente a tutti gli altri
aspetti indicati, rende evidente come gli indubitabili successi
ottenuti
nell'anno sul fenomeno mafioso - da ricordare, soprattutto, la
conclusione
dei processo denominato "Garden" per la zona di Cosenza e il veloce
andamento
di quello denominato "Galassia” per la Sibaritide - non debbano
appagare
più di tanto.
Quanto al resto dei panorama penale, basta dire che non risultano
commessi
nel periodo reati di matrice terroristica; mentre notevole è
divenuta
l'incidenza dei reati contro la Pubblica Amministrazione, connotati
sovente
dalla logica della lottizzazione partitica di tutti gli ambiti di
attività;
d'altronde non poteva essere diversamente: la sostanziale abrogazione
dell'art.
328 c. p. e le modifiche apportate all'art. 323 s. c. dalla legge 16
luglio
1997 nr. 234 in mancanza di controlli amministrativi funzionali,
essendo
ormai normativamente ridotto al minimo l'intervento e già si
pensa
al 2000 come l'anno in cui le angustie edilizie degli uffici giudiziari
saranno eliminate.
Sono stati, altresì, ripresi i lavori di costruzione della nuova
ala dei palazzo di giustizia di Paola; per il resto, continua la
ristrutturazione
degli edifici di Vibo e di Cosenza.
Preoccupante, invece, è lo stato della cosiddetta "aula bunker"
di Siano, sempre nel capoluogo regionale: una parte dei contrafforti di
sostegno dei fabbricato ha ceduto, per cui è dubbia la tenuta
dell'intero
manufatto; bisognerà provvedere al ripristino senza indugio.
MODESTE RIFLESSIONI SULL' ATTUALITA'
In primis: l'inesauribile questione dei 513 C.P.P., a cui ora si sono
pure
aperti orizzonti costituzionali; ma questo appartiene a futuro.
Per il presente: un notista politico ha scritto, dopo la pubblicazione
della sentenza della Corte Costituzionale, che la stessa Corte deve
ormai
chiarire se abbia o non in odio il codice processuale dei 1989, viste
le
continue censure operate.
La pretesa è paradossale e naturalmente non può essere
rivolta, anche se rimane qualche perplessità su come commissioni
preparatrici composte da cattedratici, magistrati, esperti di vario
genere,
parlamento tutto e, infine, il governo avessero cosi appassionatamente
sbagliato e continuato a sbagliare sino ad oggi sotto il profilo
costituzionale.
La Corte, nella sentenza, ha spiegato che l'ultima versione
dell'articolo,
quella della legge 7 agosto 1997 nr. 267, nel pur apprezzabile intento
di migliorare la condizione difensiva dell'imputato, pregiudica la
funzionalità
dei processo, danno risolvibile applicando, nei casi dei silenzio dei
dichiarante,
la norma dell'art. 500 commi 2 bis e 4 s. c. sul rifiuto a rispondere
dei
testimoni.
Ma simile intarsio normativo - detto con il massimo rispetto verso
la Corte, che, non si dimentichi, è posta dal costituente a
garanzia
della libertà dei cittadini - non è compatibile con le
precipue
funzioni della stessa.
La Corte, come è noto, non "dice" il diritto; "dire" il diritto,
interpretare la norma vigente spetta al giudice ordinario, sia civile,
sia penale o amministrativo; alla Corte compete - invece - di
verificare
se una norma sia conforme al dettato costituzionale e basta.
Incappare spesso nelle cosiddette sentenze "additive", alla lunga,
snatura l'istituto e attira inevitabilmente le critiche degli addetti
ai
lavori e degli stessi cittadini; è, bene che queste critiche
siano
contenute, anche in campo tecnico-giuridico, nell' ambito della civile
dialettica, ma se si rileva giustamente lo straripamento di potere di
qualche
pretore giustizialista, che si crede onnipotente, non si vede
perché
si debba risparmiare il massimo organo a tutela della costituzione; in
definitiva entrambi sono organi di giustizia, seppure a diversi
livelli.
E’ vero che non sempre il Parlamento è pronto a colmare i vuoti
legislativi causati dalle sentenze della Corte, ma tanto non deve
indurre
a supplenze che sono sempre indebite: ne patisce l'ordinato assetto
dello
stato di diritto, con conseguenze imprevedibili.
Altro argomento: la tendenza della politica legislativa diretta, al
fine di deflazionare la via penale, a incidere sull'azione ovvero sulla
sanzione penale, anziché sul reato.
Senza ricordare precedenti storici, che sono numerosi, basta guardare
all'attualità; la legge Simeoni-Saraceni, approvata dal
Parlamento
ed entrata in vigore lo scorso anno, e il disegno di legge governativo
presentato il 3 marzo pure dell'anno scorso e contrassegnato dal nr.
46.125
della Camera dei Deputati, ma non ancora discusso.
La prima - detto in soldoni - produce la sospensione automatica
dell'esecuzione
di tutte le condanne con pena detentiva residua non superiore a tre
anni
ovvero a quattro anni per i tossico dipendenti; non essendo il caso
dì
scendere in dettagli tecnici, importa solo dire che si tratta di
ulteriore
svilimento dei principio dell'effettività della sanzione penale,
resa incerta sul "quantum.% ancorché ben determinato e
delimitato
nella sentenza di condanna definitiva.
La legge è stata definita sacrosanta; senza fare valutazioni
sulla necessità o convenienza della stessa, occorre rilevare che
essa opera esclusivamente sul versante processuale in dispregio dei
criterio
di economicità, giacché esercitare l'azione penale,
istruire
processi, celebrarli in tutti i gradi e, poi, al momento di esigere dal
reprobo il debito - come si suol dire - verso la società, lo si
riduce generosamente nella maggior parte dei casi, con inutile spreco
di
risorse umane e materiali e minando in tal modo la credibilità
dello
strumento sanzionatorio.
Il secondo mira, addirittura, a introdurre nel sistema l'
improcedibilità
per irrilevanza dei fatto di reati punibili con pena detentiva non
superiore
a tre anni.
Nella relazione il ministro Flick dice: «L'introduzione ditale
istituto muove da presupposto che negli ordinamenti contemporanei
caratterizzati
dall'ipertrofia dei sistema penale, l'obbligo astratto dei
perseguimento
totale dei reati non possa trovare pratica attuazione; a ben vedere
l'obiettivo
di una punizione generalizzata, oltre che impossibile da raggiungere,
sembra
anche insensato sotto il profilo politico-criminale...».
E’ il primo "vulnus" al principio dell'obbligatorietà
dell'azione
penale, perché si riconosce che l'attuale apparato personale e
materiale
della giustizia non reggono più ai ritmi e alle dimensioni dei
fenomeni
criminali; e perché assegna inequivocabilmente al Pubblico
Ministero
in prima persona una funzione attiva nel l'elaborazione della politica
criminale.
Ma anche qui, seppure in misura ridotta rispetto al caso precedente,
si privilegia il percorso processuale e sì sprecano tempo e
denaro
per arrivare al nulla penale, traguardo che si potrebbe ottenere
agevolmente
altrimenti; senza contare che si consegnerebbe a Pubblico Ministero una
discrezionalità priva di responsabilità, esclusa dalla
Costituzione.
Ultimo argomento: il ruolo dell' avvocato difensore.
La categoria attraversa uno stato di disagio innegabile, dovuto a varie
cause; lo si riconosce anche da alcuni recenti atteggiamenti.
Ma - quella dell'avvocato - è la sola professione liberale
rimasta:
la professione liberale per eccellenza e tale bisogna che rimanga.
Sicché occorre che gli avvocati abbandonino al più presto
ogni frustrazione, soprattutto riguardo alla figura dei difensore nel
processo
penale, seguendo la continua - e spesso contraddittoria - evoluzione di
quest'ultimo.
Non sono il due di coppe, come il solito notista politico li ha
qualificati;
non lo sono e non lo saranno mai, se si renderanno conto che anche loro
- sulla soglia dei terzo millennio - debbono trasformarsi sempre di
più
in protagonisti dinamici e non statici dei processo: vale a dire, meno
limitati all'arringa finale e più partecipi di ogni
attività
processuale, a cominciare dalla "notitia criminis"; per essere ancor
più
chiari: non più solo Genunzio Bentini o Giovanni Porzio -
ricordando
tra i tanti, due indimenticabili maestri dell'oratoria forense - ma
colui
in grado di tamponare - si perdoni il termine - qualsiasi atto
accusatorio
nell'ambito delle indagini, magari conducendone parallelamente in
proprio.
Già oggi - e in attesa che venga introdotta dal legislatore
la novella sulle investigazioni difensive - il difensore può
operare
in tal senso e se teme che, consegnati i risultati probatori al
Pubblico
Ministero procedente, costui non li valorizzi ovvero non li inserisca
nel
suo fascicolo, nulla vieta che il difensore li presenti direttamente al
G. I. P.
Tanto - ripetesi - senza alcuna presunzione è quanto
ragionevolmente
si deve sperare nel prossimo futuro nei riguardi della classe forense,
senza la libera e motivata azione della quale nessuna giustizia
concreta
potrà raggiungersi.
Concludendo: con i migliori auspici per la vita giudiziaria in questo
distretto.
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