IL CASO
BENTIVOGLIO A REGGIO: LO STATO PIU' DEVASTANTE DELLA MAFIA
* * *
Fra pochi mesi il nostro negozio compie 40 anni. I primi 13 sono
stati gli anni più sereni e fiorenti della nostra attività, era la Sanitaria
più rinomata dell’intera provincia. Il prezzo vantaggioso e il vastissimo
assortimento dei prodotti furono le scelte che trasformarono la nostra piccola
impresa familiare in una vera e propria azienda.
La nostra
attività commerciale attirava sempre più clienti pienamente soddisfatti dalla
qualità dei prodotti e dalle nostre offerte.
Il successo, ben
rappresentato dalle cinque vetrine sulla strada principale nel quartiere di
Condera, purtroppo ha richiamato anche l’attenzione di noti personaggi della
malavita locale.
Il nostro
calvario è iniziato nel 1992 sei mesi dopo che terminò la seconda guerra di
‘ndrangheta. Infatti quello fu l’anno che ci fece conoscere gli
‘ndranghetisti in carne e ossa. Il nostro netto e determinato rifiuto di pagare
il pizzo è stato letto da loro come una vera e propria sfida a quella che era
una diffusa consuetudine. Siamo stati così condannati a subire, in tempi e modi
diversi ma sempre violenti, vere e proprie “punizioni”.
Ad ogni evento
doloso abbiamo scelto la strada della denuncia. Sui tavoli della Procura
abbiamo portato decine e decine di indizi per facilitare il lavoro degli
inquirenti e consentire di costruire le prove necessarie per dare vita ai
processi.
Non denunce
generiche e superficiali: abbiamo sempre raccontato ogni cosa nei minimi
particolari e fatto i nomi di chi ci ha martoriato pretendendo i frutti dei nostri
sacrifici. Inoltre nei procedimenti penali dove siamo stati riconosciuti Parte
Offesa ci siamo sempre Costituiti Parte Civile.
Sabato 18 luglio
1992 è stata la prima volta che, fidandoci di un Maresciallo dei Carabinieri,
abbiamo fatto i nomi delle persone sospettate spiegandogli il motivo per il
quale li reputavamo colpevoli. Ma per cercare di trovare tracce della refurtiva
del primo evento doloso subito (un furto) le forze dell’ordine hanno effettuato
le perquisizioni nelle abitazioni delle persone da noi indicate, solo dopo tre
mesi dalla nostra denuncia.
Logicamente
l’esito è stato negativo.
Abbiamo
inoltrato più volte esposti in Procura per rappresentare questa grave
assurdità, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta, né siamo stati mai
convocati per approfondire i fatti relativi ai primi tre eventi dolosi, dei
quali non abbiamo mai ricevuto alcuna elargizione da parte dello Stato, ne
tanto meno il motivo che ha determinando tanto ritardo.
Deve arrivare il
2003 per poter essere convocati in Procura, anno in cui subiamo altro evento
doloso: il 5 aprile una bomba ha devastato la nostra Sanitaria.
Al PM abbiamo
raccontato per filo e per segno le circostanze che hanno potuto determinare
tale attentato, ma si celebrò un procedimento dove sono state sottoposte a
processo solo i probabili esecutori materiali (processo Eremo n 425/05)
e nonostante che eravamo Parte Offesa, la Costituzione di Parte Civile venne
scartata in quanto gli imputati furono assolti per il capo d’imputazione che ci
riguardava, pur essendoci prove eclatanti contro di loro.
Un errore assai più grave viene fatto quando inizia altro processo (denominato Pietrastorta n 4190/09): anche in
questo procedimento veniamo individuati Parte Offesa in quanto nel 2005 avevamo
subito la distruzione completa della nostra attività commerciale a causa di un
incendio, precisamente in data 13 aprile.
Di quel grande e
bellissimo negozio rimase solo un gigantesco accumulo di polvere nera.
Al PM di turno
abbiamo raccontato che eravamo stati intimiditi da un mafioso e tuttavia nel
capo di imputazione venne fuori la parola “”estorsione””. Diverse volte abbiamo
cercato assieme al nostro legale di convincere il Pm a sistemare questa grave
svista, ma non ci siamo riusciti.
Dopo 5 anni
arriva il giorno della sentenza di primo grado e giustamente il giudice recita
testualmente “ non c’è stata estorsione ma intimidazione, restituisco le
carte in Procura affinché si proceda per il giusto reato, cioè art. 610 del CP
“.
Nessuno ha
proceduto e il PM è stato trasferito ad altra sede.
Anche questo grave
errore è stato fatto presente in Procura depositando regolarmente altri
esposti sottoponendoli in date diverse, prima all’attenzione del dottor
Pignatone, successivamente al dottor Cafiero De Raho e per ultimo al dottor
Bombardieri.
A tutt’oggi
nessuna risposta ma attendiamo con fiducia.
Devo precisare
che il dottor Cafiero De Raho è stato audito a Roma per il mio caso e di questo
gli sono grato. Le sue dichiarazioni sono rintracciabili on-line. Egli ad un
certo punto dopo aver rimarcato alcune carenze della legge 44, si è espresso
così: “Per Bentivoglio abbiamo pensato anche ad avanzare una proposta per
farlo diventare testimone di giustizia. La difficoltà è che le sue
dichiarazioni risalgono addirittura a un periodo talmente lontano che
ricostruirlo in conformità della legge diventa veramente difficile. Ci abbiamo
anche provato. Siamo, però, in contatto con il Viceministro Bubbico proprio su
questo piano. Vediamo un po’ di portare avanti qualche iniziativa”.
Mi domando:
Ma se le mie
dichiarazioni risalgono ad un periodo lontano, non è colpa mia. Questo dimostra
che nonostante le mie continue e tempestive denunce, ci sono stati gravi
ritardi che hanno gravato e condizionano la nostra storia.
Purtroppo neanche
in questo caso la Politica si è interessata.
Quando ho subito
il tentato omicidio in verità il dottor Cafiero De Raho non era ancora arrivato
a Reggio Calabria e non lo so se le cose sarebbero andate diversamente.
Ancora nessuna
risposta e attendiamo sempre con fiducia.
Anche per
l’incendio del 13 aprile 2005 abbiamo presentato in Prefettura una richiesta di
aiuto in base alla legge 44/ 99, riservata alle vittime dell’estorsione e
dell’usura, ma si è dovuto aspettare 3 anni per ricevere il primo acconto in
modo da poter rimpiazzare la merce bruciata. Nel frattempo però i nostri
numerosi clienti giustamente non potevano attendere, per cui il fatturato è
calato in modo spaventoso.
Infatti dal 2005
è iniziata la nostra sofferenza economica che si è sempre più aggravata.
Sono state
numerosissime le volte che abbiamo cercato di sollecitare le pratiche, ma non
ci siamo riusciti, anzi, per qualche funzionario degli uffici preposti siamo
diventati ”arroganti “: ecco perché più volte ho scritto che se la Giustizia
arriva tardi, non è più Giustizia.
Il 9 agosto del
2007, dopo aver avuto il diritto di leggere alcune intercettazioni , ci
rechiamo in Questura e produciamo altra denuncia per raccontare tutto ciò che
era di nostra conoscenza e per aiutare gli inquirenti a decifrare quelle frasi
minacciose contro di noi.
Nello stesso
tempo abbiamo nominato persone appartenente al mondo della chiesa, della
politica e della malavita, ma in quel processo denominato Raccordo- Sistema
n 7186/07 vengo chiamato solamente io, nella qualità di testimone e non
come Parte Offesa.
Per come è
risaputo, per poter conoscere la sentenza di primo grado, si è dovuto aspettare
9 anni per cui per sopraggiunta prescrizione nessuno viene punito. Speriamo che
ciò non accada anche nel processo di appello che attualmente si sta svolgendo.
Nonostante in
dibattimento abbia dichiarato di essere stato intimidito da una persona che ha
usato queste testuali parole “dovete chiudere questa associazione (Harmòs )
che vuoi che ti bruciano di nuovo la Sanitaria ?”, nessun
Magistrato ha voluto approfondire per cui non si è dato vita a nessun altro
procedimento.
Le mie
deposizioni fatte durante il processo Raccordo-Sistema, si possono
trovare nelle trascrizioni del procedimento in data 28 giugno 2013, nelle
stesse troverete le dichiarazioni fatte da tutti gli altri numerosi testimoni
della difesa che cercarono di denigrare le mie affermazioni. Se non ricordo
male quella lista era composta da 51 persone.
Dopo meno di un
anno da quella denuncia del 9 agosto riguardante l’incendio della Sanitaria,
subiamo ulteriore attentato: il nostro capannone viene distrutto da altro
incendio doloso.
Tutta la merce
che eravamo riusciti a comprare con il denaro ricevuto dal precedente
attentato, è stata completamente distrutta.
Anche per questo
ennesimo evento ricorriamo alla legge, ma son dovuti passare altrettanti tre
anni per poter ricevere dallo Stato un aiuto, che all’epoca ci è stato
corrisposto solo il 50 % del reale danno: ecco perché non siamo più riusciti a
contenere i debiti che tutt’oggi aumentano giorno per giorno.
Il 12 ottobre
2009 sottoscriviamo un esposto di aiuto e lo inviamo a tutte le autorità di
competenza senza tralasciare nessuno, dai Ministri ai Sottosegretari, dai
Politici locali a quelli nazionali, nonché a tutte le associazioni di
categoria.
Abbiamo scritto
anche al Presidente della Repubblica e perfino al Papa.
Nessuno ha mai
risposto, conserviamo le cartoline postali di ritorno di ognuno di essi.
Il 14 ottobre
del 2010 siamo stati costretti a denunciare tre persone per falsa testimonianza
maturata durante il processo Pietrastorta in quanto il Procuratore
titolare non ha voluto procedere d’ufficio, ma, stranamente solo per uno di
loro è iniziato il processo, mentre non abbiamo notizie degli altri.
Anche questo più
volte è stato rappresentato in Procura , ma non abbiamo avuto alcuna risposta.
Dopo un anno, e
precisamente il 9 febbraio
Sia ben chiaro
ho sparato per paura non per coraggio, gli eroi sono personaggi inventati e li
vediamo solo in televisione.
Il proiettile
che doveva colpirmi alla schiena fatalmente viene trattenuto da un marsupio di
cuoio che portavo alle spalle mentre gli altri centrano la mia gamba e sfiorano
spalla destra.
Nonostante sia
rimasto zoppo, non ho alcuna intenzione di fermarmi o di rinnegare la mia
scelta, per cui questo ennesimo grido di rabbia rappresenta ancora una
volta una richiesta di aiuto rivolto a tutti gli organi di competenza, nessuno
escluso.
Le stranezze
nella mia storia non sono finite: per aver subito il tentato omicidio ho
presentato istanza per essere riconosciuto per gli effetti della legge 302/
90 che riguarda le vittime della criminalità organizzata.
Tutto tace.
Eppure ci sono tutti i requisiti, in quanto il Magistrato non ha aperto un fascicolo
contro ignoti, ma sono stati indagati 6 persone che conosco e che incontro
spesso in questa città e tra di essi c’è anche un libero professionista.
Vi potete
immaginare cosa abbiamo provato nel leggere quei nomi su quel verbale di
chiusura indagini.
L’esito però è
stato insufficiente e nessun processo si è potuto attivare.
Anche per questo
rimango in fiduciosa attesa, chissà se a qualche pentito gli verrà voglia di
raccontare la verità.
In tempi molto
recenti ho denunciato altri gravi fatti e persone.
Ma per la
pericolosità di alcune mie dichiarazioni fatte a sommarie informazioni, il Pm
ha ritenuto di tenerle momentaneamente molto riservate.
Il 28 febbraio
2016 viene distrutta da un incendio altra struttura adibita a deposito dove
avevamo immagazzinato tutta la merce che doveva essere trasferita in questo
nuovo negozio.
Ci siamo
chiesti:
Abbiamo dato
forse fastidio che ci troviamo in un immobile confiscato ai mafiosi?
Era per caso
preteso o promesso ad altri imprenditori?
Oppure la nostra
scelta di vita continua a rappresentare un ostacolo per la ‘ndrangheta ?
Niente ci spetta
di sapere.
Anche questo
caso è stato archiviato e siamo nella disperata attesa di una risposta
in quanto il ricorso alla legge 44/99, lo abbiamo fatto in data 5 aprile 2016:
ma tutto tace.
La Procura non
si è ancora pronunciata, pur comprendendo il notevole lavoro dei magistrati di
questa città, chiediamo ancora una volta che le nostre istanze vengano
esaminate in breve tempo.
I danni subiti
nell’ultimo incendio sono stati enormi, eravamo avviliti, perché non avevamo
più niente da esporre in questo nuovo negozio. Era impossibile ripartire, per
cui abbiamo chiesto aiuto ad alcuni amici e parenti e grazie a loro che siamo
riusciti ad inaugurare questa struttura il 15 marzo 2016.
Tutt’oggi non
siamo riusciti a restituire il denaro prestatoci e proviamo non solo rabbia, ma
anche tanta vergogna per non poterlo fare.
Per la terra
bruciata fatta intorno, siamo stati costretti a lasciare i locali nella zona
Condera, giustamente sfrattati perché non riuscivamo più a pagare i canoni
dell’affitto, per cui ci siamo messi a cercare altre strutture commerciali: ma
a Reggio Calabria non si affitta niente a chi ha denunciato la ‘ndrangheta,
ecco perché l’unica cosa da fare era quella di cercare un bene confiscato.
Terra difficile
e strana la nostra, siamo molto bravi a dire no alle mafie, magari organizzando
incontri, convegni e manifestazioni, però poi non spendiamo i nostri soldi nei
negozi di chi ha denunciato, forse abbiamo paura di farci vedere.
Infatti
nonostante che ora il negozio sia situato nel centro storico della nostra città
i clienti di una volta non ci sono più.
Al Comune,
proprietario di questa struttura, abbiamo più volte chiesto di agevolarci con
un prezzo di affitto adeguato alla nostra situazione rivedendo il contratto
di affitto allora sottoscritto con il Tribunale della Prevenzione, nonché
di fare qualcosa di concreto per le vittime di mafia.
Ancora niente di
fatto. Si attende con fiducia.
In questo
scritto troverete la parola “ contratto d’affitto” sottolineata in quanto sono
in molti quelli che erroneamente pensano che ci abbiano assegnato questo
negozio gratuitamente. Non è così, la legge 109 non lo prevede.
Non solo in
Commissione Parlamentare, ma anche dalla Commissione Regionale Anti ‘ndrangheta
sono stato audito, sia quando avevamo un Governo Regionale di destra che
attualmente con quello di sinistra.
Sono diversi ma
tutti essenziali i punti di intervento che ho rimarcato affinché si possa fare qualcosa
di realmente positivo per chi è stato vessato dalla ‘ndrangheta.
Sono in
attesa di riscontri.
La cosa più
grave che può capitare a chi denuncia è, trovarsi con la casa ipotecata dallo
Stato per contributi non versati e tributi non pagati, per il nostro bene
immobile è già partita la vendita all’asta ma fortunatamente
momentaneamente è stata sospesa dal Tribunale di Reggio Calabria.
Abbiamo sempre
la paura che da un momento all’altro la sospensione termini e si proceda alla
vendita della nostra casa.
A Roma in
Commissione Parlamentare Antimafia ho fatto questa domanda: “Onorevoli
Deputati e Senatori secondo voi, chi sarà l’acquirente ? Non certamente una
brava persona, magari saranno i mafiosi che ho denunciato”.
Ed ecco il
paradosso, lo Stato giustamente confisca le case ai mafiosi, ma gli stessi
comprano le case di chi li ha denunciati.
Credetemi prima
o poi questo avverrà.
Quando le nostre
difficoltà economiche si sono aggravate qualcuno ci ha consigliato di venderci
subito la casa, ma noi non abbiamo voluto, perché eravamo convinti che
denunciare significava allearsi allo Stato che senza dubbio non ci avrebbe
abbandonato.
Che delusione.
Il nostro bene
immobile, costruito in 42 anni di sacrifici non rappresenta più una garanzia
per le banche, i quali ci hanno tolto ogni affidamento e quindi ogni
possibilità di poter lavorare.
Siamo iscritti
alla centrale rischi della banca d’Italia perché non siamo riusciti ad onorare
gli impegni presi con i nostri fornitori: le banche hanno protestato i nostri
assegni e ormai le aziende le dobbiamo pagare con bonifico anticipato,
altrimenti non possiamo ricevere la merce. Ecco che le difficoltà si
moltiplicano.
Esiste una
legge, la 386 del 90 la quale stabilisce che ogni assegno può essere coperto
anche entro i 60 gg pagando la penale del 10%, ma quando ciò non avviene , come
nel nostro caso, viene imposta una sanzione che supera i 6.000 € per ogni
titolo bancario.
Sono tanti,
forse 73 i titoli bancari che in questo momento non siamo riusciti a pagare
entro i 60 giorni, per cui immaginatevi le conseguenze.
Non avendo
potuto versare all’Inps i contributi, non possiamo avere il rilascio del
certificato DURC per cui non si può partecipare a nessuna gara
d’appalto, ciò significa non poter rivendere i nostri prodotti agli enti
pubblici come facevamo un tempo.
I nostri mezzi
di lavoro, macchine e furgone sono in fermo amministrativo, pensate che del
vecchio furgone dove ho trovato riparo quella mattina, crivellato di colpi di
pistola, conservo le targhe in quanto non l’ho potuto nemmeno rottamare.
I nostri figli
sono disoccupati, nessuno li assume perché possiedono dei genitori che hanno
denunciato, ma noi lo abbiamo fatto per non perdere la dignità e per poterli
guardare sempre in faccia.
Ora però, sono
loro a guardarci e a chiederci se valeva la pena mandare in galera qualcuno,
dato che il prezzo che stiamo pagando è altissimo.
Loro sono
convinti, e non hanno alcun torto, che dopo la nostra morte lo Stato li manderà
a vivere sotto un ponte, in quanto la nostra casa sarà venduta all’asta.
Più volte le
frasi della politica recitano parole di solidarietà ma non seguono atti di
concretezza.
Anche la Camera
di Commercio a suo tempo aveva sottoscritto un protocollo che prevedeva
l’esenzione del Diritto Camerale da riservare alle vittime di mafia, ma non ha
funzionato perché era stato impostato male. Ci è stato promesso che sarebbe
stato rivisto, ma sono diversi anni che aspettiamo.
Oggi Il
fatturato del nostro esercizio è sceso in maniera stravolgente, non si riesce
più a pagare i fornitori e a stento riusciamo ad onorare le utenze e non
potendo rimpiazzare la merce per mancanza di liquidità, aumentano le difficoltà
nella vendita.
I dipendenti che
avevano, siamo stati costretti a licenziarli e con grande rammarico devo aggiungere
che non siamo riusciti a pagare loro la giusta e spettante liquidazione.
Il 27 dicembre
2016 abbiamo presentato altro esposto in Procura per evidenziare e sollecitare
tutte le pratiche sospese.
Sono passati
quasi due anni e nessuna risposta.
Intanto
continuano ad arrivare lettere con minacce e pallettoni, l’ultima delle quali
ci è stata fatta recapitare proprio in questo negozio in data 9 giugno 2017.
L’estate scorsa
abbiamo voluto trasmettere in Questura una denuncia riepilogativa, dove abbiamo
elencato ogni fatto accaduto e ancora una volta abbiamo nominato tutte le
persone che da 26 anni ci hanno intimidito tentando di estorcerci.
Nessun
Procuratore ci ha ancora interrogato.
Anche ai membri
dell’attuale Governo abbiamo fatto richiesta per essere ufficialmente ricevuti,
stiamo aspettando fiduciosamente.
Abbiamo voluto
riunirvi e fare questa conferenza affinché Reggio e l’Italia intera sappia che
spesso si diventa più vittima dopo la denuncia.
Noi non ci
stancheremo di diffondere la cultura della legalità continuando a parlare ai
numerosi gruppi di giovani che molto spesso vengono anche nel negozio a
trovarci.
Come sapete, io
giro tantissimo per le scuole d’Italia, incontrando studenti di tutte le età,
perché sono convinto che quando il cambiamento avverrà, loro saranno gli attori
principali.
Abbiamo scelto
di rimanere in Calabria e lo faremo fino alla fine, perché siamo consapevoli
che chi deve andare via, sono solo i mafiosi: è troppo bella questa terra per
lasciarla nelle loro mani.
Abbiamo l’obbligo
di non lasciare i nostri figli su una terra infetta e malata di ‘ndrangheta e
corruzione, convinciamoci che loro rappresentano una piccolissima minoranza e
non temiamo di stare uniti anche nella diversità degli nostri ideali.
Denunciare è
Democrazia, ma perdere tutto per averlo fatto, significa essere trattati peggio
dei delinquenti.
Per cercare di
fare conoscere meglio questa nostra storia, più volte abbiamo pensato di fare
cose eclatanti, tipo incatenarci o cose simili, ma ci siamo vergognati, per cui
vi chiediamo gentilmente e a gran voce di divulgare subito e ovunque questo
nostro grido di aiuto.
Se a breve non
avremo risposte, molto probabilmente saremo costretti a chiudere l’attività, ma
nessuno si dovrà permettere di dire che ci siamo arresi alla ‘ndrangheta: le
vittime delle mafie non siamo noi, ma coloro che pagano il pizzo e con la loro
omertà contribuiscono alla crescita della criminalità.
Noi siamo
Testimoni di Verità in attesa di Giustizia, perché abbiamo avuto la sfortuna di
incontrare un pezzo di Stato che non ha funzionato, oppure lo ha fatto solo a
intermittenza e con grave ritardo.
Credeteci, le
risposte non date e le pratiche ferme, bruciano dentro di noi più dei
proiettili.
Abbiamo bisogno
del vostro prezioso mestiere per diffondere questo nostro messaggio e se
dovreste ascoltare frasi del tipo “Qui Nessuno Denuncia”, raccontate
questa storia.
Grazie a tutti
voi e a coloro che non sono potuti intervenire.
Enza e Tiberio Bentivoglio
Reggio
Calabria, 27 Settembre 2018